Il pensionato
di Marco Celati - mercoledì 01 maggio 2019 ore 07:00
Ne era passato di tempo. Perfino Berta si era maritata, separata e divorziata, tanto ne era passato. Giorni di lavoro dopo giorni di lavoro, fine settimana dopo fine settimana, domeniche su domeniche. Le domeniche erano le peggiori. Maledette! Bisognava fare qualcosa per distinguerle dagli altri giorni e si finiva per non fare mai un cazzo di niente, buttarsi in un supermercato o all'Ikea con una pietra al collo. Oppure litigare. Amarsi era piacevole, convivere impegnativo. Voler bene era quello che sapeva fare meglio. Naturalmente in un modo tutto suo e non sempre condiviso. Comunque le voleva bene. Del resto, al lavoro non si comanda e in casa meno che mai. E in un rapporto di coppia con il fu sesso debole sei comunque in minoranza. Il voto del "presidente" vale doppio e non sei te il "presidente". Te ne rendi subito conto.
Era andato in pensione, ormai: la minima. E se la godeva alla grande. Sempre lavorato, ma versamenti meno. Un versamento al ginocchio sinistro, semmai, che lo perseguitava, eredità di velleità sportive. Vita disordinata e imprevidente. Vita di merda. Paese di merda. Società di merda. Concetto leggermente monotematico, ma sufficientemente chiaro. E chissà se giusto. Un bel giramento di palle, comunque.
Un colonnello dei carabinieri in congedo, conosciuto non ricordava in quale circostanza, gliel'aveva pur detto. Fuggire, uscire di casa, con una scusa qualsiasi o un'occupazione precisa: il circolo, il tennis, il calcetto. Si torna in casa da pensionati e ci si imbatte in una persona, la tua dolce metà, divenuta tre quarti con l'avanzare del tempo, e ti rendi ben presto conto che, fuori delle ore pasti, sei un estraneo a casa tua. E non devi più di tanto invadere il territorio, non puoi pretendere di riconquistare una posizione mai avuta. Molto meglio una ritirata strategica. È il male minore. Se però non hai una pensione da colonello, ma da soldato semplice e la casa non è nemmeno tua, è una tragica disfatta. Caporetto, senza nemmeno la linea del Piave.
Ci sono gli amici, ma gli amici bisognerebbe farseli da giovani per ritrovarseli da vecchi. Poi il sociale, anzi i "social". Maldicenze che nel bar o dal barbiere, con i calendarietti delle donnine ignude e le riviste di gossip, avevano anche un senso. Passa meglio il tempo a parlare male della gente e sparare cazzate. Ma fare assurgere tutto ciò a relazione sociale c'è da vergognarsi. Meglio essere "asocial". Il volontariato gli pareva di averlo fatto tutta la vita e ora si rifugiava nel privato, anzi nell'intimo. Ma non nel senso della biancheria: scriveva racconti insulsi, personali, che non pubblicava perché gli dispiaceva per gli alberi con cui si ricava la carta e perché, in fondo, nessuno glielo chiedeva. A chi potevano mai interessare?
Pensava di avere un segreto per vivere, diversamente dagli altri, distinguendosi, essendo persona, singolarità, come se gli altri non lo fossero o lo fossero meno di lui. Non era qualcosa di preciso, piuttosto una convinzione, orgogliosa di sé, come una pretesa di poter essere migliore. Ma da quel piedistallo era già caduto da un pezzo. Il tempo passa -s'è già detto- e di quella segreta ricetta di vivere, che presumeva di possedere, si era ormai dimenticato.
Ora faceva seguire un giorno dopo l'altro. Di più l'orizzonte esistenziale e previdenziale non gli consentiva. Stava lì, incazzato, ma più avvilito che incazzato, davanti alla tivvù. Gli toccavano i programmi di cucina o di intrattenimento, saltava quelli dove litigano di politica che imperversano su tutte le reti. E meno male che la politica non piace a nessuno! Forse non piace farla, ma parlarne sì. Probabilmente è necessaria. Comunque, preferiva la realtà oppure la fantasia: ascoltare telegiornali e vedere film. Meglio se di fantascienza. Anche distopica, perché pensava, alla fine, non c'è limite al peggio. Eppure, a suo modo, era un progressista. Come quelli che, a modo loro, sono credenti, senza andare in Chiesa e, qualche volta, senza neanche credere in Dio. E poi guardava il calcio, la dose che gli era consentita in casa: la Domenica Sportiva no, solo le partite della Nazionale. Senza urlare, però, che non c'era nemmeno gusto. Leggeva quello che capita: libri, giornali, bugiardini dei farmaci. Specie quelli per la prostata. Sono curiose le proprietà taumaturgiche di certe piante tropicali e i principi attivi che vengono descritti. Anche se, a leggere le controindicazioni, c'era da non farne di nulla.
La protesi in bocca lo mortificava. Per la spesa e gli acquisti doveva stare attento. Prima venivano l'affitto di casa, luce, acqua, gas e rifiuti. Per il resto limitarsi allo stretto necessario e, spesso, neanche a quello. Fare a meno perfino delle medicine. Anche i croccantini e la lettiera per il gatto erano più scadenti. Ci fu un silenzioso colloquio, un'intesa di sguardi, con la bestiola. La qualità del mio pelo ne risentirà. Fu la muta accusa. E 'sti cazzi! Fu la muta risposta. Così anche il principe dei felini domestici si dovette adattare. E chissà se ti dura, amico mio, l’allergia al pelo del gatto incombe in questa casa. L'ingresso nella vecchiaia era arrivato così, improvviso, con questa indigenza fisica e morale. Non possedeva nulla e questo non gli dispiaceva. Se ne sarebbe andato privo di ricchezza, così come era venuto al mondo, senza lasciare niente se non ricordi, affidati alla memoria di un'epoca immemore. L'età si misura e soprattutto si percepisce con il tempo. I suoi genitori se li ricordava anziani ed ora si rendeva conto che erano più giovani di lui quando erano scomparsi. Era campato di più di suo padre e di sua madre, ma era nell'azzeramento della speranza e del futuro che stava precipitando. Sulla Terra avrebbe lasciato figli e pochi affetti, il suo unico valore. E la sua vita, o ciò che resta, era questo.
Del resto chi o cosa poteva mai rappresentare la gente come lui? Il sindacato pensionati, d'accordo. Le associazioni della terza età: fra qualche anno, forse. Per il momento evitava la compagnia dei suoi simili e le loro edificanti conversazioni: malattie, morti, stragi, maltempo e lavori pubblici non fatti o fatti male. Ma quale politica per anziani o diversamente giovani nel tempo delle rottamazioni generazionali? O quale istanza sociale? Bisogna ridursi al livello del minimo di Stato: tipo residenza per anziani. O affidarsi alle strutture sanitarie, quando il male si presenterà, se già non cova. Ma prima di quello stadio non c'è niente. Un vuoto di rappresentanza. Un paese che invecchia non è un paese per giovani, ma nemmeno per vecchi. Forse proprio per questo ci si deve fare da parte: lasciare ai figli lo spazio che i padri hanno troppo a lungo usurpato. Ma allora bisogna solo rassegnarsi. Meglio farsene una ragione, vivere alla giornata, giorni improduttivi e vuoti. L'unica responsabilità restando, quella di essere vivi. Una discreta rottura di coglioni. Comunque sempre meglio che morti.
Pontedera, Primo Maggio 2019
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Una cosa scritta un po’ di tempo fa. La pensione in realtà è una gran cosa, a chi tocca e quando. Soprattutto dipende da quanto. Però lavorare è meglio, finché hai l’età per farlo. Purché lavoro ci sia e sia tutelato e valorizzato. Oggi è il Primo Maggio, la festa di chi lavora e, con nostalgia, di chi ha lavorato. Evviva il Primo Maggio!
Marco Celati