Don Chisciotte
di Marco Celati - giovedì 11 gennaio 2018 ore 07:10
Liberatemi i sogni per favore. È un periodo che sono ingombri di troppa realtà, persone che conosco, eventi possibili, normali banalità, vita quasi vera. Fanculo, non va bene così! Saranno queste medicine che tolgono il desiderio, sarà l’età che aggiunge il carico degli anni, insomma qualunque cosa sia non mi piace. Allora meglio il vuoto pneumatico, la smemoratezza onirica, il niente delle notti brevi e spossate di qualche tempo fa. Ma forse quella era una prerogativa irripetibile della gioventù. Alla vecchiaia spetta solo questo soprassalto di pesantezze e di ricordi che svuotano i giorni e intasano le notti. Mentre si richiederebbe, piuttosto, un parto di fantasia. Che so? Un sogno alla Zafon, gotico e denso di mistero, perfino qualche incubo notturno, evocatore di paure. Tutto, ma non la piatta ripetizione, in forma di brutta copia, della realtà. Sognare solo quello che si è non aiuta nemmeno a vivere. Sarei un surrealista, ecchecazzo! Non lo so, ma, di certo, il verismo non mi ha mai entusiasmato. Conoscere la realtà per trasformarla, invece mi è sempre piaciuto. Almeno pensarlo. È vero: affidarsi ai sogni è quantomeno incauto. Anche se c'è letteratura a sostenere che saremmo fatti della stessa materia, i sogni si dimenticano e ci lasciano prima del risveglio. Però succede come nella vita, alla fine: spesso anche la vita si dimentica di noi prima del tempo.
Non sono in discussione la razionalità, il valore della storia, la complessità sociale, la positività della scienza. Non si tratta di negare tutto questo, semmai di superarlo con un di più di fantasia e di percezione: forse c'è un'anima in noi e un sentimento nascosto nelle cose. Una stessa realtà, un medesimo oggetto, un dato evento sono diversi a seconda dei punti di vista di ognuno, dell'angolazione da cui li si osserva o li si vive. Il che non vuol dire che non siano veri. Significa che c'è qualcosa sopra o sotto le cose che ne cambia l'interpretazione, la forma e talora la sostanza. Sopra le cose ci sono le arti e sotto i sogni. A svelare cosa c'è dentro di esse, nella loro composizione materiale, c'è la scienza. Ma anche qui dipende dall'uso che se ne fa. E tutto questo fa parte della coscienza del mondo e del suo divenire.
Non basta solo ciò che siamo o crediamo presuntuosamente di essere. A volte penso che perfino nei colloqui di lavoro o attitudinali si dovrebbe presentare il curriculum di ciò che non siamo stati, ma avremmo voluto essere, di quello che non abbiamo fatto, ma avremmo potuto, oppure che abbiamo perso o lasciato, nel corso della vita. Quello che si ama si perde, per questo siamo ciò che ricordiamo, ma non necessariamente solo ciò che siamo stati.
La mia vicina napoletana, dice che non ha paura di niente. Tiene solo paura dell'essere umano: quello ti tradisce alla prima occasione. E forse è vero che non c'è più bene al mondo. Che non c'è scampo alla vita, nessun perdono. “Le speranze le hanno le persone, ma i destini li distribuisce il diavolo”. Certe convinzioni si affermano lentamente sulle passioni sopite.
A volte, avanzando il giorno, nel casamento, dalle scale, giunge un sentore di spezie e citronella e un profumo buono di roba da mangiare. Talora un odore di muffe e di scarichi risale. Canzoni e musica si sentono a volte e a volte grida. Sul retro si stendono i panni, dove i palazzi prendono il colore dell’ombra quando è sera e le finestre si accendono di luce. E “a volte, quando gli dei non guardano e il destino si perde lungo la strada, perfino la brava gente ha un po' di fortuna nella vita”. Ma la vita va come va e così la fortuna: per conto suo, come spesso il paese.
“Fu del mondo, ad ogni tratto,/ lo spavento e la paura;/ fu per lui la gran ventura/ morir savio e viver matto”. Recita l’epitaffio del nobile “Cavaliere dalla Trista Figura”, l’ingegnoso hidalgo Don Chisciotte della Mancha, eroe senza macchia e senza paura. “Io sono nato per vivere morendo” disse in punto di morte e pose fine alla vita, ai sogni, alle battaglie contro giganti, mulini a vento, pecore, fiere ed altri incantamenti, che con il fido scudiero Sancho Pancha aveva condotto, lancia in resta, in giro per la Spagna. In sella al magro Ronzinante, a raddrizzar torti, quasi sempre sconfitto, il cuore consacrato alla bella Dulcinea del Toboso: una contadina trasfigurata in nobile dama. Correva l’anno 1605 e, all’ospedale di Messina dov’era convalescente, reduce dalla Battaglia di Lepanto, o, secondo altre fonti, in una prigione spagnola, dalla fantasia visionaria di Miguel de Cervantes Saavedra, tra sogno e realtà, cavalieri e popolani, cozzar di ferri e fango di eroi disarcionati, nella follia della parola e non solo di quella, prendeva vita, tragicomico e malinconico, il romanzo moderno.
Soltanto 370 anni dopo, era il 1975, mi trovavo accampato in compagnia di amici sulla costa calabra, in viaggio di nozze. Una spiaggia stretta tra mare e scogliere. Azzurrissimo il mare. Con il coperchio di una lattina di tonno o carne in scatola -la memoria non mi soccorre, di entrambi al tempo facevamo assai uso- utilizzando un rametto per cavallo e uno stecco a mo’ di lancia, feci un Don Chisciotte stilizzato che, da allora in poi, portai sempre con me. Fa ancor oggi bella mostra di sé, dietro il vetro intarsiato della credenza. Fragile e imperterrito, ha resistito alla furia di sgomberi e traslochi, è rimasto fermo contro il susseguirsi turbinoso degli eventi o incurante della piatta noia del tempo, attraversando il secolo. Sono passati anni, nozze ed amici, sono venuti figli, amori e disamori e tutto è scorso, ma il mio cavaliere, triste e impavido, è ancora con me e, finché avrò vita, mi seguirà. Mulini a vento si sono combattuti e sogni hanno rischiarato e ottenebrato le notti come i giorni, molte più le sconfitte delle vittorie alla ricerca del futuro. Perché non mi è andato mai di dare retta a quella vocina dentro che un altro eroico e scalcinato cavaliere spagnolo, il capitano Alatriste, diceva, nello splendore del 35 millimetri, a proposito del futuro. Al diavolo il futuro, nel futuro saremo tutti morti! La stessa cosa, del resto, che il celebre economista Keynes ebbe a dire dei tempi lunghi. Ma forse è stato più banalmente perché, come in un altro film, “Il destino di un cavaliere”, sempre in tema epico e cavalleresco, anche per me è valso il detto, più volte ricordato: siete stato pesato, siete stato misurato, siete stato trovato mancante.
Marco Celati
Pontedera, 6 Settembre 2017
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Così va la vita, che si dimentica di noi prima del tempo e le altre frasi virgolettate e in corsivo, riguardanti speranze, fortuna e brava gente, sono tratte dal romanzo “Il labirinto degli spiriti”, dal ciclo “Il cimitero dei libri dimenticati”, di Carlos Ruiz Zafon.
“Al diavolo il futuro, nel futuro saremo tutti morti”, dal film “Alatriste - Il destino di un guerriero” di Agustín Díaz Yanes con Viggo Mortensen.
John Maynard Keynes: "Nei tempi lunghi saremo tutti morti".
“Siete stato pesato, siete stato misurato e siete stato trovato mancante”, dal film “Il destino di un cavaliere” di Brian Helgeland con Heath Ledger, che poi è tratto da un passo della Bibbia (Daniele 5:27).
La foto raffigura il Don Chisciotte stilizzato di cui tratta questo scritto.
Marco Celati