Di cose pesanti e di leggere
di Libero Venturi - domenica 12 maggio 2019 ore 08:27
Molte delle cose che sono visibili si debbono a quelle invisibili. E molte cose visibili hanno meno senso di tante invisibili.
Non è vero che il mondo non è, se non appare. Il mondo non è, se non è. Apparire è una circostanza dell’essere e non viceversa. Può rappresentare solo un accadimento, una tecnologia, un’impresa, al più un periodo storico. Non si sgomentino coloro che si sentono nel cono d’ombra della vita. Nemmeno rappresentare è essere. Noi siamo chi siamo e siamo, se siamo. Non si sa precisamente in cosa consista la sostanza delle cose, l’essenza di noi, della vita stessa, ma sentiamo che c’è. Che c’è un’anima nel mondo e in noi. E non è detto che sia Dio, se non ci credi.
La vita segue sempre il suo corso e non sappiamo se un destino ci necessita o noi stessi ne siamo artefici o se entrambe queste cose sono vere e quanta parte dell’una o dell’altra abbia più influenza per noi, ci determini o ci liberi. Così ognuno ha i suoi affetti, i suoi amori, le sue solitudini, la sua parte di bene e di male con cui viene e sta al mondo. Ognuno ha i suoi sogni, le sue speranze, le sue vanità. Ogni cosa si perde e si ritrova per perdersi ancora, ogni cosa s’illumina e si spenge. Ed è più quello che vorremmo essere stati, aver amato ed essere amati, di quanto siamo stati, abbiamo amato, siamo stati amati. È inevitabile perché noi pensiamo noi stessi e fuori di noi e immaginiamo più mondi e più vite. Poi un un giorno spariremo nel nulla o forse torneremo tra le stelle siderali da cui proveniamo.
Ignoro quanto starò qui, se ci sarò ancora, se ci sarà una fuga o un ritorno, chi resterà o chi troverò e da chi sarò trovato o lasciato. Forse traslocherò ancora in cerca di un’altra dimora. E questa è la strada, il cammino, la casa, la vita che ci porta in giro e non sai mai se è un ciclo o una linea retta e quale, semmai, preferire delle due. Se guardo il tempo sembra che non scorra, eppure allo specchio non riconosco più il mio volto: non è il mio, quello che osservavo, a volte con piacere, altre con disgusto, quello che conoscevo. Si diventa altro e questa è l’apparenza, ma l’essere che è in me c’è ancora, potente e fragile, risoluto e vanesio. Noi cambiamo, ci trasformiamo, diventiamo. E così siamo.
Hanno battezzato il mio nipotino per Pasqua. San Paolo apostolo scrive ai Romani: “Fratelli, non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una nuova vita”. Non sono credente, grazie a Dio e mentre il piccolo veniva esposto, nudo, ai fedeli e immerso nel fonte battesimale, cosa che per la verità ho considerato suggestiva, ma un po’ eccessiva, nella mia mente contorta è riemerso un passo di un libro, letto da poco: “Yeruldelgger, Morte nella steppa” di Ian Manook. “È l’acqua a tenerci la testa fuori dall’acqua, figliolo, non dimenticarlo mai, e l’acqua nella quale anneghiamo è la stessa che ci sorregge quando nuotiamo”. E c’è una descrizione, tra le tante, del paese in cui il racconto è ambientato: “In un bivacco, sotto le stelle, sull’erba, attorno al fuoco, con un cavallo nell’ombra e tutta la Mongolia fino agli orizzonti della notte”. Nella Genesi si racconta la Creazione: “Così furono portati a compimento il cielo e la terra e tutte le loro schiere”. Dio crea il mondo, il tempo e la vita, il giorno e la notte, i cieli infiniti, i mari profondi, le terre immense. E quasi certamente anche le pianure della Mongolia. Luci ed ombre, sacro e profano si rincorrono in noi, che siamo fatti di cose pesanti e di leggere. Buona domenica e buona fortuna.
Pontedera, 12 Maggio 2019
Libero Venturi