Principi
di Libero Venturi - domenica 03 maggio 2020 ore 07:30
Il termine, composto da tre sillabe, a seconda dove cade l’accento, è ambivalente. Proverò a darne un compendio a memoria e alla rinfusa, a mo’ di dizionario minimo.
Dunque. Se prendiamo in esame la parola sdrucciola, cioè con l’accento sulla terzultima sillaba -nel caso in questione la prima- avremo ”prìncipi”, plurale di principe, che indica un titolo di sovranità: ad esempio il principe ereditario, il principe consorte e il principe di Galles che è un completo giacca e pantaloni a quadri, molto elegante. Very british. Che, scherzi a parte, sarà stato anche un elegantone il principe Edoardo VIII, ma meno male che, per amore della chiacchierata ereditiera americana, abdicò prima ancora di essere incoronato come primogenito! Perché, stante le sue simpatie filonaziste, al tempo della seconda guerra mondiale, se non era per re Giorgio VI -il grande re balbuziente che salì al trono- e per Churchill, chissà come sarebbe andata la storia. E sai che ci fregava a noi del riquadro e del risvolto al pantalone! Che poi qui si chiama rimbocca. E, tuttavia, con buona pace dei reali d’Inghilterra, noialtri di teste coronate ne abbiamo fatto e ne facciamo volentieri a meno. Abbiamo più di un motivo per dirlo. Ma torniamo al tema.
Se invece consideriamo la parola piana, vale a dire con l’accento sulla penultima sillaba -in questo caso la seconda- abbiamo “princìpi”, che è il plurale di principio e sta per inizio, origine, causa, fondamento di una dottrina, convinzione.
La confusione e l’ambivalenza tra i due termini diversamente accentati è data dal fatto che entrambi derivano dal latino “princeps” e che noi non mettiamo accenti tonali per distinguere i due termini, andiamo a senso. I francesi, precisini, ci stanno più attenti di noi agli accenti, ne mettono un sacco, ma è una palla. Ça va sans dire. Va da sé. Che se va da sé senza dirlo, figuriamoci dicendolo. Gente ampollosa i francesi. “Sé”, con l’accento acuto, comunque.
Bene. Fra i prìncipi, intesi come plurale di principe, viene subito a mente Cicerone, il principe del foro ai tempi dei romani. Usque tandem Catilina... Che a me ricorda quando si andava la domenica in pineta a Viareggio e si noleggiava quella bicicletta che si pedala in due. Il tandem, appunto. Un po’ sborone il nostro Cicerone, anzi Cicero, Chichero, come diceva la prof di latino. Che poi quel pomposo di un Cicerone, con tutto il suo dire e il suo fare, è stato tramandato a noi, non come retore o avvocato, bensì retrocesso come appellativo al rango di guida turistica. Ben gli sta.
Restando alla romanità un princeps per antonomasia è stato Giulio Cesare, il De Bello Gallico, alea iacta est, veni vidi vici per finire al tu quoque, Brute, fili mi delle idi di marzo. Triste, sintetico y fatal.
Ma l’imperatore per eccellenza è Adriano, quello delle Memorie raccontate da Marguerite Yourcenar, pseudonimo di Marguerite Cleenewerck de Crayencour di cui Yourcenar è l’anagramma. Adriano nasce nel 76 d.C. e diviene imperatore nel 117, succedendo a Traiano. Dopo un lungo governo sa di essere ormai prossimo alla fine. Così affida le sue memorie a Marco Aurelio, ancora diciassettenne, individuandolo come colui che un giorno sarà suo successore. È stato un imperatore capace di spietatezza, ma non così sanguinario, tranne che in Giudea. Un comandante militare non guerrafondaio, un tiranno illuminato che ha migliorato la posizione delle donne e degli schiavi. Amante della cultura, ma dilettante d’arte, si definisce mediocre e dice di non essere stato grande in nulla. Ha avuto amori di ambosessi, ha amato soprattutto Antinoo, un giovinetto greco conosciuto in un convivio letterario. Una passione intensa ed appagante, finita in tragedia. Antinoo si uccide e l’imperatore, travolto dal dolore, dispone per lui una sepoltura da faraone, gli dedica una città e statue nella Villa imperiale di Tivoli. Durante il suo impero Adriano ha costruito tanto, ha riedificato città, ampliato porti. A Roma il Pantheon e il Mausoleo. In Britannia il Vallo che porta il suo nome, ostacolo ai barbari del nord. Alla fine, stanco ed ammalato, si rassegna a morire lasciando la sua animula vagula blandula. Dice: piccola anima vagante e gentile, ospite e compagna del corpo: ora dovrai andartene in luoghi scoloriti, freddi, nudi, dove non potrai più scherzare, come solevi. Muore nel 138 d.C.
Marguerite Yourcenar si sente affine ad Adriano, nei sentimenti e nelle passioni e si interroga sulla sua figura di princeps illuminato. Memorie di Adriano è il suo capolavoro, insieme a L’opera al nero.
Confesso che a me invece gli imperatori romani non facevano troppa simpatia, così ambigui e misteriosi nel loro rapporto con il potere, il Senato, il popolo, la loro stessa dinastia. Difficili anche a ricordarseli alle interrogazioni di storia. La romanità è piaciuta a tanti, da Mussolini fino a Boris Johnson ai giorni nostri, che però con la Brexit, dietro il Vallo di Adriano ci s’è ritirato davvero. Tanto oggi siamo tutti barbari.
Il Principe di Niccolò Machiavelli insegna ai migliori politici o ai più abili che il fine giustifica i mezzi, ma purtroppo lo insegna anche ai peggiori, oltretutto incapaci. E ispira alla parte migliore del popolo la necessità del buon governo, a quella colta e giacobina la figura del despota illuminato e al populismo peggiore e becero la tirannide e basta, nello smarrimento della democrazia. Che poi Machiavelli disse per la verità: «nelle azioni di tutti gli uomini, e massime de’ Principi ... si guarda al fine ... I mezzi saranno sempre iudicati onorevoli e da ciascuno lodati». Che è un po’ diverso. Appare semmai una constatazione, più che una giustificazione del concetto, come poi è diventata.
Il Piccolo Principe invece è l’eterna fiaba degli adulti bambini o dei bambini adulti che non mi è mai riuscito finire di leggere. Non riesco nemmeno a pronunciare bene il nome dell’autore: Antoine de Saint-Exupéry. È come François Choderlos de Laclos, ma come si fa? La verità è che non mi piacciono le fiabe, mi intristiscono come i clown e io sono già abbastanza triste di nascita. Grazie. “Tutti i grandi sono stati bambini una volta, ma pochi di essi se ne ricordano”, è scritto nella dedica del libro. Si vede che io non me ne ricordo.
Oggi, seddiovole, i titoli nobiliari sono aboliti, tutti i cittadini hanno pari dignità sociale, sono eguali davanti alla legge e l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Da poco, seppur in maniera virtuale, costretti dalla pandemia, abbiamo festeggiato il Primo Maggio. Non considerando dunque Emanuele Filiberto, comunque un “Principe” ci rimane. Principe è soprannominato De Gregori, il cantautore dell’Italia che resiste, della Storia che siamo noi, del Generale dietro la collina che ci sta la notte crucca ed assassina, quello della Donna cannone che con le mani amore e di Alice che guarda i gatti. E quello che quando canta Guarda che non sono io, è proprio lui. E sono anch’io e siamo tutti noi.
Ma passiamo ora ai princìpi, intesi come plurale di principio. Fra i principali ricordiamo il famoso principio di Archimede: un corpo immerso in un liquido con quel che segue, che spiega perché le persone grasse galleggiano meglio delle magre a parità di peso. In genere. Perché se poi non sanno nuotare è tutto inutile. Archimede è anche quello che datemi una leva e vi solleverò il mondo, una bella dimostrazione del principio della leva e della megalomania. Ma sembra che non lo disse il genio siracusano, si limitò per le sue geniali soluzioni ad un più sobrio, seppur entusiasta, eureka!
È doveroso poi ricordare il principio di Pascal che dimostrò che se prendi una botte, ci infili sulla sommità un tubo verticale di almeno 10 metri e la riempi dal tubo fino a farla scoppiare, la botte effettivamente scoppia. Il principio riguarda la pressione e i vignaioli. E il fatto che il troppo stroppia.
Il principio più importante in fisica è quello di inerzia, il primo principio della dinamica, o prima legge di Newton, che afferma che un corpo permane nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme, a meno che non intervenga una forza esterna a modificare tale stato. Forze esterne che modificano la quiete, per nostra sfortuna o fortuna, ce ne sono molte. Non mi fate dire quali, si va sul personale e ognuno sono certo avrà un proprio elenco privato. E, per quanto riguarda il moto rettilineo uniforme, l’attrito è una forza sufficientemente contrastante, ma anche una curva a secco non è male. E, da Eraclito a Lavoiser in poi, che dire del niente si crea, niente si distrugge e tutto si trasforma? Niente, appunto, ma speriamo bene. Intanto il mondo è sommerso dai rifiuti.
Nella fisica quantistica è stato enunciato da Heisenberg il principio di indeterminazione, che è proprio un principio indeterminato e indeterminabile per me. Parla di sistemi non perfettamente misurabili: “le leggi naturali non conducono a una completa determinazione di ciò che accade nello spazio e nel tempo; l'accadere (all'interno delle frequenze determinate per mezzo delle connessioni) è piuttosto rimesso al gioco del caso”. La qual cosa avrebbe probabilmente fatto arrabbiare Euclide, Galileo, Newton e, più recentemente, Einstein e la sua teoria della relatività generale. Che è ganza a bestia.
Sul piano sociale e del diritto vige il principio di sussidiarietà, secondo cui, se un ente inferiore è capace di svolgere bene un compito, l'ente superiore non deve intervenire, ma può eventualmente sostenerne l'azione. Questo per il diritto, per il rovescio è tutta un’altra cosa. Anche per il coronavirus, tra Stato centrale e Regioni è stato piuttosto complicato. Poi dice in Europa non ci capiscono, sarebbe già tanto ci capissimo fra noi. Comunque andiamo avanti che ce n’è bisogno.
Storicamente, sopratutto dalla Rivoluzione Francese in poi, i paesi civili e democratici fanno riferimento, chi più chi meno, al principio di legalità, che afferma che gli organi dello Stato sono tenuti ad agire secondo la legge. Tale principio ammette che il potere venga esercitato in modo discrezionale, ma non arbitrario. Tuttavia anche durante la Rivoluzione Francese tra discrezionalità ed arbitrio un po’ di confusione fu fatta e saltarono molte teste. Figuriamoci dopo. Ma prima ancora dell’affermarsi del principio di legalità o strettamente collegati ad esso, i princìpi trasmessi alla storia dalla Rivoluzione del 1789 sono stati tre: Liberté, Égalité, Fraternité, libertà, uguaglianza -che in francese ha addirittura due accenti e in italiano nessuno- e fraternità. Tre diritti fondamentali e inscindibili, tre ideali, tre utopie che hanno improntato molte carte costituzionali o atti fondanti comunità e nazioni, gridando la loro ragione e la loro necessità. Non ci può essere libertà senza uguaglianza e non ci può essere uguaglianza se non c’è solidarietà, perché gli uomini nascono liberi, uguali e fratelli. O per natura dovrebbero. Ed è anche vero che non ci possono essere uguaglianza e fraternità senza libertà. Il mondo va liberato, prima e più che dalla plastica, dalle guerre, dalla miseria e dalla devastazione; dalla sopraffazione dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sulla natura. Questo non è ciò che sempre abbiamo fatto e facciamo, ma è quello che ci dovrebbe essere sempre insegnato, fin da bambini, perché possa improntare le nostre vite e le nostre politiche.
Tra i princìpi in medicina mi limiterò a citare il principio attivo di Oki, il ketoprofene, ma anche quello di Aulin, il nimesulide, o simili che non saranno così importanti come gli altri, ma se avete mal di denti me lo saprete dire.
Infine un principio tendenzialmente molto in voga specie ai giorni nostri è il cosiddetto principio della fine. Non è un principio del tutto codificato. Semmai può dimostrarsi come l’opposto della fine del principio. Che è un fatto temporale, tuttalpiù fatale. Da non confondersi, anzi da distinguersi, dalla fine dei princìpi che è un fatto morale e deprecabile. Anche se purtroppo alquanto incombente nell’abituale cinismo contemporaneo.
Un lieto esempio del principio della fine è il conto alla rovescia dell’ultimo dell’anno quando si stappa lo spumante, si fanno i fuochi d’artificio e il trenino, cantando Brazil es un pais tropical e a seguire. Forse perché semel in anno licet insanire. O, più probabilmente, perché ogni fine anno, al principio della fine segue un nuovo inizio e infatti ci si augura buona fine e buon principio. Tipo: è morto il re, viva il re. Oppure: morto un papa, se ne fa un altro, a parte questo nostro sarebbe bene non morisse mai, lo dico anche se non credente. Insomma nella vita principio della fine e fine del principio si rincorrono dandoci l’illusione e l’ebbrezza di questa breve eternità che è la nostra esistenza. Un ciclo che sembra ininterrotto, un principio illusorio di infinito, di progresso e sopravvivenza di cui tutti, nonostante ogni leopardiano venditore di almanacchi, abbiamo comunque bisogno. Prima che il principe delle tenebre venga a reclamarci l’anima e noi a dirgli che no, non gliel’abbiamo mai venduta. Tuttalpiù, a volte imprestata. Che non esiste proprio. Buona domenica e buona fortuna.
Libero Venturi
Pontedera, 3 Maggio 2020
Chiedo scusa a tutti, competenti e professori, per imprecisioni, bischerate, errori
di cui, pur tuttavia e con tutto il cuore, né mi pento, né provo alcun dolore.
Libero Venturi