La plastica
di Libero Venturi - domenica 24 novembre 2019 ore 07:30
Proseguono i miei tentativi di definire le cose, dare loro un significato preciso. Definitivo, appunto. Anche se forse niente è definitivo. Non almeno come la morte e le tasse. Chi le paga, ovviamente. Oggi è il turno della plastica per lo studio e l’applicazione dei cui polimeri Giulio Natta, ingegnere chimico e accademico italiano, nel 1963 fu insignito del Nobel per la chimica.
La plastica è composta di vari polimeri, che sono macromolecole diverse, e infatti sarebbe più corretto volgere il termine al plurale e parlare di plastiche. Praticamente tutto quello che non è legno, metallo, carta o altro materiale naturale è di plastica. Le palle da biliardo, per dire, prima erano d’avorio e ci uccidevano gli elefanti, togliendo loro le zanne, per una scozzo a carambola o una partita a boccine e ora invece sono di plastica. Meglio. La plastica ha reso un notevole servigio all’umanità e anche al mondo animale: soprattutto gli elefanti, che hanno memoria, sono piuttosto riconoscenti.
E però la plastica è cattiva e merita di essere tassata. Inquina il mondo: la terra, i fiumi e gli oceani. Si spezzetta in micro frammenti, s’insinua nella catena alimentare e ci avvelena a poco a poco. Oppure si addensa in macro residui, creando delle isole galleggianti in mezzo all’oceano. È perversa. E non tanto perché all’origine, in quanto plastica vergine, è un derivato del petrolio e quindi alimenta la spirale nefasta dell’utilizzo dei combustibili fossili che tanto concorre al riscaldamento della biosfera e all’aumento del CO2, responsabili delle modifiche climatiche del pianeta. Anche se una quantità assai ridotta del petrolio è destinata alle plastiche. Comunque no, non è solo quello. È che la plastica è probabilmente dotata di vita propria e di una tendenza comprensibile, naturale, ma negativa all’autoconservazione, tipica degli esseri animati, ma anche delle cose inanimate. Sarebbe infatti tutta riciclabile, come lo sono l’alluminio o la carta, ad esempio, ma sfugge al nostro controllo per depositarsi al suolo e rimanervi per anni e anni, con particolare predisposizione per i luoghi più ameni: campi verdi, colline, montagne, spiagge e sopratutto parchi o zone protette. Per non parlare dei fiumi e dei mari. Lo fa apposta.
Avevo comprato una confezione di detersivo in plastica per la lavatrice che tengo sul terrazzo. Una volta esaurita, la confezione è sparita, l’ho ritrovata sull’argine dell’Era, vicino a cui abito. Stava scendendo in golena per tuffarsi nel fiume e, per quella via raggiungere il mare e poi l’oceano. Queste plastiche perverse e avventurose seguono le correnti, subiscono un’attrazione particolare per i luoghi di mare esotici. E poi frappongono mille complicazioni al loro riciclo. Deve essere una questione di amor proprio. Attraverso i rappresentati del Corepla, preposti al riciclo dal Conai, il Consorzio Nazionale Imballaggi, le plastiche hanno ottenuto di farsi riciclare, appunto, solo come imballaggi. Così una bacinella di plastica, che non imballa, ma alla fine impalla, non viene riciclata dal servizio pubblico e magari un bel giorno te la ritrovi a galleggiare fra le alghe del Mar dei Sargassi.
Per piatti e bicchieri di plastica a malincuore è stato autorizzato il riciclo, ma le posate di plastica no, quelle hanno resistito. Mica si tratta di imballaggi! E allora, via: libere con la raccolta indifferenziata! Comunque la Comunità Europea ne ha decretato la prossima fine. Già qualche supermercato ha tolto le suppellettili di plastica dagli scaffali con tanto di cartello e dichiarazione di impegno a favore dell’ambiente. Pazienza se posate, piatti e bicchieri compostabili costano un occhio della testa. Speriamo che la gente li compri, così il lavoro per produrli prenderà il posto di quello perso per i prodotti in plastica. E chi non se li può permettere farà i compleanni e le cresime con le stoviglie del corredo, come usava un tempo. Poi si lavano.
E delle crucce di plastica non vogliamo parlare? Hanno imposto una regola per cui se le acquisti con un abito appeso sono imballaggi e puoi riciclarle, se no, nisba. L’altro giorno dovevo liberare l’armadio e gliel’ho chiesto: siete crucce o imballaggi? E loro mute. Fanno finta di nulla, le maledette. «È la plastica, bellezza! La plastica! E tu non ci puoi far niente! Niente!». Bella stronza! Le prossime crucce all’Ikea o dal Cinese le compro di legno. Di legno degli alberi? Magari anche no: speriamo almeno che sia riciclato. Perfino le casse da morto devono essere di legno massello. Chissà poi perché. Gli uomini anche da morti rompono i coglioni alla natura. È la loro natura. Per non parlare dei graforroici, gli affetti da graforrea come il sottoscritto, sopratutto i grafomani cartacei. Ci vorrebbe una tassa sulla carta non riciclata o non derivata da foreste rinnovabili. Le foreste dell’Amazzonia bruciano già di suo.
Comunque, bisogna bandirla dalla faccia della Terra questa plastica irriciclabile, irriducibile e inquinante. È solo colpa sua se non si lascia riciclare, non nostra. E se proprio plastica deve essere, buttiamoci sulla plastica bio che è molto più ragionevole e si ricicla da sé. Un compromesso plastico. Semmai si useranno altri materiali; nostra madre Terra ne produce un’infinità. Oddio non proprio un’infinità. Insomma bisogna fare tutto quanto possiamo e del nostro meglio: un mondo plastic free è possibile! Dobbiamo dare un futuro ai giovani e assolvere i vecchi. O assolvere i giovani e dare un futuro ai vecchi? Non ho capito. Ma tanto lo sapevo: non sono buono per le definizioni definitive. Buona domenica e buona fortuna.
Libero Venturi
Pontedera, 24 Dicembre 2019
Libero Venturi