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PENSIERI DELLA DOMENICA — il Blog di Libero Venturi

Libero Venturi

Libero Venturi è un pensionato del pubblico impiego, con trascorsi istituzionali, che non ha trovato niente di meglio che mettersi a scrivere anche lui, infoltendo la fitta schiera degli scrittori -o sedicenti tali- a scapito di quella, sparuta, dei lettori. Toscano, valderopiteco e pontederese, cerca in qualche modo, anche se inutilmente, di ingannare il cazzo di tempo che sembra non passare mai, ma alla fine manca, nonché la vita, gli altri e, in fondo, anche se stesso.

​DIZIONARIO MINIMO: Pane & sale

di Libero Venturi - domenica 24 settembre 2017 ore 07:00

A cena da amici mi è stata rivolta una fondamentale, quanto intrigante domanda: perché il pane in Toscana è sciocco, quando nel resto d’Italia è salato? E chissà come mai pensavano che potessi avere una risposta. Forse anch’io appartengo alla schiera delle intelligenze sopravvalutate e relative conoscenze. L'unica cosa che so per certo è di non sapere e conosco poco anche me stesso. Mi guardo allo specchio e non mi corrisponde più il volto che vedo riflesso. Da giovane dicevano che somigliavo a Gianni Morandi, solo più alto. Poi, invecchiando, a Gino Paoli e infine a Phil Collins, quello dei Genesis. Con lui, non ci crederete, ma ho anche giocato a pallone. Comunque il fatto è che non somiglio più a me stesso. C'è un uomo anziano, senza capelli, con barba e baffi bianchi, nonché scarsa dentatura, che mi guarda di là dallo specchio. Non sono certo di essere io, mi ricordavo diverso. Ma non importa, torniamo al tema. La domanda posta non è affatto sciocca e pretende una risposta “cum grano salis”. Una risposta complessa, argomentata e non improvvisata.

Partiamo da Dante Alighieri, la Divina Commedia: «Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e 'l salir per l'altrui scale». È il trisavolo Cacciaguida nel canto XVII del Paradiso che annuncia a Dante l'infausta profezia. Dai parenti mai una gioia.

Superficialmente o forse con supponenza ho sempre pensato che si trattasse di una metafora: il pane altrui è salato perché ci costa chiederlo, è amaro se siamo stranieri, ospiti forzati dall'esilio in una terra non nostra. Non ho pensato al significato letterale del testo: cioè che il pane altrui sa di sale, mentre il nostro è sciocco. Semplice. Tutta la Divina Commedia è un'allegoria piena, basata su certezze e verità illuminate dalla fede, seppur non esenti da qualche giramento di coglioni. Noi che esprimiamo oramai allegorie vuote, tendiamo più all'astruso e ci perdiamo in giri di parole. E dunque, resi edotti e rinfrancati dagli immortali versi del “ghibellin fuggiasco”, che poi era un guelfo bianco che teneva per l'imperatore, torniamo al punto: perché il nostro pane è sciocco?

Il sale, che oggi si compra al supermercato e che bisognerebbe contenere nella dieta perché ne facciamo eccessivo uso e, dice, non farebbe bene, è sempre stato nella storia dell'uomo un alimento essenziale. L’organismo umano, anche quello dei più sciocchi tra noi, è composto all’80% circa di acqua salata. L’uomo non può fare a meno del sale. Una sostanza che assume anche un alto valore simbolico e religioso, Gesù dice ai discepoli: “Voi siete il sale della terra”. Anticamente un bene prezioso, come l’oro. Perché si chiama salario, il salario? Perché i primi romani usavano pagare i militari con il sale. E la via Salaria era una strada lungo cui transitavano i traffici del sale, che era merce di scambio e fonte di ricchezza. Lungo le vie del sale sorsero città, come Salisburgo, letteralmente città del sale.

Del resto una delle ragioni alla base dei grandi viaggi oceanici, intrapresi alla ricerca di rotte più brevi per raggiungere le Indie e le terre d'oriente era perché quelle terre e quelle isole erano ricche di spezie. Che poi erano pepe, chiodi di garofano e altra roba piccante e profumata di drogheria. Spezie e sale erano beni fondamentali. Ma il sale, quello ce l'avevamo e lo tenevamo caro. L'Italia è una penisola emersa nelle ere geologiche dalle acque di un mare chiuso e non troppo profondo e così si sono formate, su molti dei nostri rilievi, stratificazioni di sale minerale, ciò che ne ha consentito l'estrazione. E sale marino si ricavava nei bacini, lungo le nostre coste. In Toscana c’erano le miniere di salgemma di Volterra e diverse saline per la raccolta del sale marino. I Lorena nel 1758 ne realizzarono una molto grande nella pianura grossetana vicino al mare, ma all'interno, durante i lavori di bonifica. La sua produzione era molto alta, come ingenti erano i costi di trasporto. Alla fine la salina, nel 1791, fu chiusa. Ma, insomma il sale non ci mancava. Solo che era un prodotto di monopolio con tanto di relativa tassa e la storia è durata parecchio, con corredo di insurrezioni e rivolte, condizionando usi, consumi e gusti, fino ai giorni nostri. In Italia tasse e monopolio del sale sono stati aboliti solo nel 1975. Quindi una delle possibili ragioni della mancanza di sale nel nostro pane potrebbe essere che, i toscani, genti brusche e poco avvezze alle imposizioni, andavano in culo alle tasse e piuttosto mangiavano pane sciapo. Versare il sale dice porta male: per forza, con quello che costava! Leonardo da Vinci, nel suo capolavoro, “L’ultima cena”, dipinge una saliera caduta ed aperta davanti a colui che, che di lì a poco avrebbe consumato il più grande tradimento della storia: l’apostolo Giuda. Per questo “sacrificio”, secondo Borges, il vero messia.

Nel XII secolo, ai tempi delle guerre tra Pisa e Firenze e un po’ di tutti i borghi e castelli, l'un contro l'altro armati -maledetti toscani- i pisani preclusero ai fiorentini la via dei commerci dal mare. Un embargo antesignano. Così nemmeno il sale transitava più e da ciò possiamo trarre un'altra spiegazione relativa al pane sciocco. Piuttosto che darla vinta a quelle merde de' pisani, che meglio un morto in casa, a Firenze e poi in tutto il Granducato, il pane 'un si sala: e gli'è più bono 'osì, vien via!

Bucaioli fiorentini! Che non è un'offesa omofobica: era perché i renaioli di Firenze scavavano buche lungo il greto dell'Arno e mogli e donne al seguito dei lavoranti, cotta la pasta, all'ora di pranzo li chiamavano a gran voce: «Bucaioli, c'è le paste!». Certo non con questo significato i pisani avranno apostrofato così i fiorentini, allorquando, nel 1472, le truppe di Lorenzo De’ Medici, detto il Magnifico, s'impadronirono del libero Comune di Volterra e relative saline, per il controllo delle miniere di salgemma. Comunque il pane a Firenze rimase sciocco uguale. E però il pane non lo salavano neanche nella Repubblica marinara di Pisa a cui la via del mare e del sale non era certo preclusa, pur essendosi allontanata la costa per l'insabbiamento, bei tempi per i marinesi! E allora?

A Chioggia tra il 1379 e il 1380 c’era stata guerra tra le Repubbliche marinare di Venezia e Genova per il controllo del commercio del sale. E a Perugia, nel 1540, la popolazione insorse contro le imposizioni e le tasse sul sale emesse dallo Stato Pontificio, dando luogo alla Guerra del Sale. I papalini l'ebbero vinta, ma i Perugini decisero che allora niente sale e abbasso anche il Papa. Però uno storico dell'alimentazione ha documentato che anche prima del 1540, anno della tassa e della guerra, i perugini non salavano il pane. La loro era dunque una questione di principio e di libertà per quanto riguarda la rivolta e di gusto per quanto riguarda il pane. Molto più tardi, del resto, si concentrarono con successo sulla cioccolata.

Perché c'è da fare una precisazione: la domanda è infatti mal posta. Non è vero che solo in Toscana il pane è sciocco, anche in una parte dell'Italia centrale, Umbria, Marche, Lazio si usa il pane non salato. Come non è vero che in tutta la Toscana il pane è sciapo: nell'alta Versilia, Lucca, Massa, Carrara, la zona dell'Apuania -liguri, popolazioni rudi dell'appenino che contrastarono persino i romani e rimasero fuori dal dominio del Granducato- il pane lo salano. E, a nord ovest, parlano anche un'altra lingua.

Concludendo, ciò significa che dobbiamo dare una risposta non univoca, ma articolata alla domanda sulla mancata salinità del pane. In gran parte della Toscana e in buona parte del centro Italia il pane è sciocco perché il sale costava un bel po' a causa delle tasse -è il caso di dire- troppo salate o perché il prezioso alimento era stato precluso a causa di guerre e conflitti. Però probabilmente c'entrano qualcosa anche gusti e sapori. In Toscana, diversamente dal nord del Paese, si mangia parecchio salato e molto saporito, forse per questo preferiamo accompagnare con un pane senza particolare sapore il pasto, detto, appunto, companatico. Il prosciutto nostrano è tirato e salato, e fra due fette di pane toscano -una sola per i ghiotti o gli sdentati- è la su' morte. Non è certo il dolce e morbido San Daniele. Una volta che nel settentrione mi fecero assaggiare il prelibato culatello di Zibello, dissi buono, si scioglie in bocca, ma sembra un prosciutto da signorine. Poi non mi invitarono più, ma questo è un dettaglio. E anche il decantato coniglio di fossa all'ischitana per noi è un coniglio lesso, niente a che vedere con il “conigliolo” arrosto che fanno a Treggiaia, ad esempio. E anche a Ischia, in quel prestigioso ristorante, non c'invitarono più: altro dettaglio. Forse non solo nel pane a noi toscani manca il sale, ne difetta anche un po' la zucca, quella che dovrebbe controllare al meglio l’uso accorto della parola. Ma tant'è. Oltretutto, non è che nel sud Italia non si mangi piccante, anzi: hanno dei peperoncini da togliere il fiato e lacrimare gli occhi e ci sono pure degli incoscienti che fanno a gara a ingurgitarli a crudo, esaltando la pressione e forse qualcos’altro. Eppure il pane al Sud è salato lo stesso.

E allora alla fine bisogna convenire che tutti i gusti son giusti o, come si dice in Toscana, traducendo il detto latino “de gustibus non est disputandum”, su' gusti 'un ci si sputa.

Libero Venturi

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Pontedera, 24 Settembre 2017

Che la “Divina Commedia” è un’allegoria piena non me lo sono inventato, l’ho sentito spiegare da Romano Luperini, critico letterario, scrittore e professore dell’Università di Siena.

Ugo Foscolo nei “Sepolcri” definì Dante, esiliato da Firenze, “ghibellin fuggiasco”, anche se era considerato un guelfo di parte bianca, cioè meno filo papale e con simpatie per l’imperatore, come i ghibellini: un credente laico si direbbe oggi. In effetti la differenza tra ghibellini e guelfi bianchi e tra questi e i guelfi neri c’era, ma le parti e le correnti in politica, quantunque possano anche apparire o essere il sale della democrazia, non sono sempre state del tutto decifrabili né componibili nel Bel Paese dove non solo il “sì” suona, ma sempre più spesso il “no” e sopratutto il “non lo so”. In Toscana poi…

“Tre versioni di Giuda” è in “Finzioni” di Jorge Louis Borges.

Libero Venturi

Articoli dal Blog “Pensieri della domenica” di Libero Venturi