Netanyahu saprà mantenere le promesse?
di Alfredo De Girolamo e Enrico Catassi - venerdì 30 dicembre 2022 ore 18:00
In Israele tra molte incognite si apre l'era del 37 governo, il sesto a guida Benjamin Netanyahu, il più spostato a destra della storia di questo stato mediorientale. È l'ultima vera grande scommessa del leader del Likud, un mago della politica che ha cambiato in questi anni il volto del suo Paese.
La domanda che molti si pongono dal giorno della vittoria elettorale dello scorso 1 novembre è se veramente Netanyahu sia in grado di tenere a freno la componente degli ortodossi religiosi e quella nazionalista (razzista e omofoba), che ha imbarcato in questo viaggio dalla prospettiva quantomeno agghiacciante.
Il timore, espresso sia internazionalmente che internamente, è che siamo sul baratro di una potenziale deriva antidemocratica. Le prossime politiche di governo potrebbero portare ad una perdita di diritti, tanto per donne, laici, comunità Lgbt+ e minoranza araba. Molto criticato, da una larga fetta dell'opinione pubblica, è il fatto che il neonato esecutivo condivide, quale asse strategico, l'idea di fondo di apportare sostanziali modifiche alla “costituzione”, partendo dal depotenziamento del ruolo di garanzia del contrappeso istituzionale della Corte Suprema. Le ragioni di tale scelta hanno da parte di Netanyahu delle ragioni oggettive, legate ai suoi problemi con la magistratura. I processi a suo carico per corruzione, frode ed abuso di potere sono in pieno svolgimento nelle aule del tribunale di Gerusalemme. E senza un paracadute sicuro Netanyahu rischia, se giudicato colpevole, di essere condannato.
Un leader sotto la spada di Damocle della giustizia, e quindi, se vogliamo, debole, ma non nelle urne e nella popolarità indiscussa di cui gode ancora tra la gente di Israele. “Debole”, non a caso hanno urlato in coro al suo indirizzo dai banchi dell'opposizione durante il suo discorso di insediamento. Ai parlamentari che protestavano Netanyahu ha risposto: “Non devo sentire le vostre grida per sapere che abbiamo disaccordi”. Intanto, centinaia di persone manifestavano contro il suo nuovo esecutivo fuori dalla Knesset.
Non meno veemente e critica nell'aula del parlamento si è fatta sentire la voce del suo avversario Yair Lapid, oramai ex premier: “Lasciamo un paese in condizioni eccellenti. Con un'economia forte, che ha accresciuto capacità nella sicurezza e potere di deterrenza, con le migliori performance internazionali di sempre. Cerca di non rovinarlo, tanto torneremo presto”.
Saprà quindi Netanyahu mantenere le promesse e offrire benessere? O finirà preda del suo destino, fagocitato dagli estremisti neofascisti che ha voluto al suo fianco? Intanto, ha risposto alle critiche con la nomina di Amir Ohana, dichiaratamente gay, a presidente della Knesset, mossa ad effetto ed opportuna. Mentre, per non alienarsi completamente la “fiducia” di un prezioso alleato come Biden ha preso decisamente le distanze da Trump: “In una democrazia, non ci arrampichiamo sulle recinzioni del Campidoglio e non scaliamo le mura della Knesset”. Il piano di Netanyahu è molto più sottile di quanto possiamo immaginare.
Alfredo De Girolamo e Enrico Catassi