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martedì 06 maggio 2025

LE PREGIATE PENNE — il Blog di Pierantonio Pardi

Pierantonio Pardi

Pierantonio Pardi ha insegnato letteratura italiana all’ITAS “ Santoni” di Pisa fino alla pensione. Il suo esordio narrativo è stato nel 1975 con il romanzo "Testimone il vino" , ristampato nel 2023 sempre dalla Felici Editore, nel 1983 esce "Bailamme" (ristampato nel 2022 con Porto Seguro editore). Negli anni seguenti ha pubblicato come coautore “Le vie del meraviglioso” (Loescher,1966), “Il filo d’Arianna (ETS, 1999) e da solo “Cicli e tricicli” (ETS 2002), “Graaande …prof (ETS, 2005) e “Il baffo e la bestia” (ETS 2021), "Erotiche alchimie" (ETS,2024) e "La disgrazia di chiamarsi Lulù" (Felici Editore, 2024). Ha curato l’antologia “Cento di questi sogni” (MdS, 2016) ed è direttore editoriale della collana di narrativa “Incipit” (ETS)

​Alessandra Favati "Il coraggio tra i fiori d’orti"

di Pierantonio Pardi - martedì 06 maggio 2025 ore 08:00

Fenomenologia dell’Orco.

Da bambini, nelle fiabe, abbiamo incontrato l’Orco e anche l’Omo nero e anche i Draghi; ma erano figure fantasmatiche, eteree, scaturite dalla voce di mamme e nonne narranti che si dissolvevano poi in un sonno apotropaico che esorcizzava le paure. C’era il lieto fine a proteggerci dagli incubi e, diciamolo pure, anche la stupidità di certi Orchi (si pensi a quello di Pollicino che sgozza nel sonno le sette figliolette scambiandole per Pollicino e i suoi fratelli ). Per quanto riguarda i Draghi poi, venivano sempre uccisi e l’ Omo nero non l’ha mai visto nessuno…

Ma che succede quando l’Orco, come Ezechiele, quello del Gatto con gli stivali, assume diverse fisionomie? Nella fiaba viene ingannato dal Gatto che gli chiede di trasformarsi in topolino, l’Orco accetta e il Gatto se lo mangia. Un altro Orco stupido, insomma.

Però questo avviene nelle fiabe, ma nella vita reale, che succede quando un bambino incontra un Orco?

Ci sono due film terribili che raccontano storie tragiche e che mi sono venuti in mente, leggendo questo romanzo di Alessandra: Sleepers, un film del 1996 diretto da Barry Levinson che racconta i soprusi subiti da alcuni ragazzi dei riformatori e la loro successiva vendetta e Mystic river, un film del 2003 diretto da Clint Eastwood dove un ragazzino Dave che giocava con i suoi due amichetti, viene sgridato e poi prelevato, messo in una macchina nera e portato via per quattro giorni. Ritornerà, ma la violenza subita lo segnerà per tutta la vita. E infine i romanzi che affrontano queste tematiche; la lista sarebbe lunga, da Tutta la vita che resta di Roberta Recchia, a La Malacarne di Beatrice Salvioni, fino allo sconvolgente Triste Tigre di Neige Sinno che racconta le violenze subite dai sette ai quattordici anni dalla piccola Neige da parte del patrigno .

Ma veniamo al libro di Alessandra (definito tempo fa, in diretta tivù a “Carta bianca” da Mauro Corona “Un gioiellino”) che già dal titolo preannuncia un qualcosa di inquietante perché all’immagine dolce e suadente dei fiori viene affiancata quella dell’ ortica, un’erba urticante che irrita la pelle se viene sfiorata; “ … di penter sì mi punse ivi l’ortica (canto XXXI , Purgatorio). Poi, l’ortica, nell’immaginario collettivo è simbolo di desolato abbandono, di totale infruttuosità, gettare all’ortiche è un’abusata metafora …

E’ quindi un ossimoro questo titolo (anche se i fiori d’ortica esistono davvero) che già anticipa le tematiche del romanzo, una storia agrodolce narrata in forma leggera e veloce, con grazia ed eleganza, dove l’amaro è dato dalla figura dell’Orco, ben mimetizzata all’interno di una comunità che quasi lo venera per la sua generosità e benevolenza, ignorandone l’aspetto ripugnante e turpe e il dolce è offerto da questo gruppo di ragazzi e ragazze nel fiorire dell’infanzia ingenui e generosi e, alla fine, però, furbi e spietati come il Gatto con gli stivali.

Ma vediamo, come di consueto, il plot raccontato nel risvolto di copertina:

In una corte polverosa, dove le voci dei bambini si mescolano al rumore delle vite semplici, si intrecciano storie di coraggio, segreti e resistenza. Il Coraggio tra i fiori d’ortica è un viaggio nell’infanzia, un mondo fatto di ginocchia sbucciate, giochi ingenui e risate, ma anche di ombre e silenzi che i più piccoli sono costretti a fronteggiare con la forza dei grandi.

Attraverso gli occhi della protagonista, una bambina tanto vivace quanto sensibile, scopriamo una comunità in cui adulti distratti e segreti taciuti creano un universo complesso e fragile. Qui un gruppo di bambini cerca rifugio nella propria amicizia, trovando nel loro “posto segreto” un luogo dove sfuggire alla realtà e affrontare insieme ciò che li spaventa. Con una scrittura delicata e intensa, Alessandra Favati esplora i temi della capacità di affrontare le difficoltà, dell’innocenza violata e della forza dei legami umani, raccontando una storia che, pur essendo ambientata in un contesto specifico, parla a tutti noi, Il coraggio tra i fiori d’ortica non è solo un romanzo sull’infanzia, ma un inno alla resilienza che consente di trovare luce anche nei luoghi più bui.

Ed eccolo il posto segreto così come ce lo descrive l’autrice:

Noi ci troviamo sempre dietro le baracche, io, le gemelle, Bea, Paolo e Luigino a meno che non piova, altrimenti sotto le scale che portano al piano di sopra. Dietro le baracche è il nostro posto segreto, a volte siamo in due o tre ,a volte siamo tutti.

Con uno stile minimalista, ma fortemente visivo, un ritmo veloce, grazie alla paratassi, Alessandra tratteggia in breve anche il contesto sociale, la cornice.

Dietro le case ci sono soltanto campi e vecchie baracche. Le famiglie che vivono al piano di sopra hanno tutte un piccolo pezzo di terra e ci fanno l’orto, mentre quelle a piano terra hanno un giardinetto dietro. Nel nostro giardino la mia nonna ci coltiva pomodori, zucchini e patate. Tutti coltivano qualcosa e c’è chi ha piantato anche alberi da frutta, fichi e albicocche. Negli orti a volte la notte ci vanno i ladri e rubano un po’.

Poi c’è Gino, il tuttofare, quello che ha più di tutti e che dona senza, apparentemente, chiedere niente in cambio, anche se quello che ottiene è quanto di più terribile si possa immaginare. Ce lo fa intuire, grazie a un inquietante indizio, l’autrice in questo breve frammento dove a parlare è la mamma di Paolo:

- Vai da Gino, chiedi se per piacere ti può dare qualche uovo – gli grida la sua mamma. Lui mi pare sordo, glielo deve ridire un paio di volte. Poi va, ci mette tanto tempo e quando torna è tutto rosso e sudato ma porta una cassetta con tante verdure e anche un pollo e le uova.

- Generoso come sempre Gino – esclama la sua mamma.

Con una elegante ellissi, e solo attraverso un piccolo indizio (il viso rosso e sudato di Paolo) l’autrice ci fa capire che l’Orco ha colpito. Inquietante invece l’ottusità, o forse omertà, della madre.

Il cuore pulsante, l’epicentro emotivo di questa storia è la corte, in via del Camposanto, vicino alla ferrovia, a Piazza dei Miracoli e a un piccolo cimitero ebraico, un microcosmo che racchiude varie storie, diversi sentieri, variegate tipologie umane, un micro universo disagiato e crudele che, con pennellate da neorealismo, così descrive l’autrice:

Trentadue famiglie, una più malandata dell’altra. Padri incapaci di mantenere anche un gatto continuavano a sfornare figli. La violenza in famiglia che non moriva mai, come una pianta sempreverde si alimentava con l’ignoranza e la miseria. Piccoli ladruncoli che spesso tornavano a casa pieni di cazzotti presi e niente da mettere nel piatto. (…) Nugoli di bambini che sciamavano da quelle case correndo in tutte le direzioni, come quando accendevo la luce in bagno e gli scarafaggi si rifugiavano nelle fessure delle pareti.

Una pagina questa che sembra quasi simile alle descrizioni che Pasolini fa delle borgate romane e dei suoi “ragazzi di vita”; uno scenario crudele e realistico allo stesso tempo in cui però i bambini, passando dall’infanzia all’adolescenza, vivendo una sorta di carboneria elettiva, si coalizzano e si comprendono, avvertono la presenza del male e, alla fine , lo sconfiggono, anche se in qualcuno le cicatrici ci metteranno un po’ a rimarginarsi.

E poi gli anni ’60 che rappresentano il contesto di questa storia, un anno, in particolare, il ’68 che portò alla ribalta il caso Lavorini e che segnò, per altri versi, l’inizio della contestazione, gli anni del boom economico che non riguarda di certo l’umanità dolente della corte.

E alla fine, la quête, della protagonista che vuole ritrovare tutti i compagnucci della corte, ormai adulti, disseminati in varie città, li troverà e sarà una salutare retrospettiva ricordare quegli anni, resuscitare quelle atmosfere ed è così che lo descrive l’autrice:

(…) tutti i miei amici mi sono sembrati contenti delle loro vite, tutti abbiamo vissuto senza guardare troppo indietro, senza farci troppe domande. Eravamo granelli di polvere, ma nessun vento ci ha disperso. Siamo rimasti ancorati alla vita. nessuno di noi è rimasto nella corte, come diceva sempre la mia nonna Carlina, dovevamo andare via, dovevamo salvarci. E così è stato (…)

Più che con “I ragazzi della via Pall” o con “Il signore delle mosche” romanzi corali, ma lontani per tematiche dal “gioiellino” di Alessandra, ho trovato delle affinità tra questo romanzo e “Il buio oltre la siepe” di Harper Lee; anche se il tema centrale di quel libro era il razzismo; in quel romanzo i protagonisti Scout e suo fratello Jem con l’amico Dill, prima bambini poi ragazzi, scoprono quali conseguenze possono scatenare l’odio e la segregazione razziale contro la quale si scontreranno, affrontando il mondo degli adulti e scoprendo che i mostri, a volte, sono solo figurati, le ingiustizie, il razzismo e i pregiudizi.

Guarda caso, anche in quel romanzo c’è un vicino misterioso

Un certo Boo, che i ragazzi temono perché ha fama di essere un uomo cattivo che, invece, alla fine si rivela buono e affezionato a loro; qui, invece, un uomo, Gino, considerato buono da una comunità di adulti ottusa e omertosa, era in realtà l’Orco.

Ed ecco come l’autrice racconta le reazioni dei ragazzi, dopo i funerali dell’ Orco (perché l’Orco muore, ma non vi dico come …)

Al ritorno dal funerale corriamo al nostro posto segreto.

Fa ancora caldo, un’estate che non finisce mai.

Sei bambini, uno dopo l’altro si siedono in cerchio.

Sei bambini sanno che d’ora in poi Gino non sarà più nelle loro vite.

Mano sul cuore

Croce sul petto

Se parli

Sarai maledetto.

Sei bambini uniscono le loro mani una sull’altra e giurano per la vita.

Poi corrono via.

Pierantonio Pardi

Articoli dal Blog “Le pregiate penne” di Pierantonio Pardi