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martedì 08 ottobre 2024

STORIE DI ORDINARIA UMANITÀ — il Blog di Nicolò Stella

Nicolò Stella

Nato in Sicilia si è trasferito a Pontedera a 26 anni e ha diretto la Stazione Carabinieri per 27 anni. Per sei anni ha svolto la funzione di pubblico ministero d’udienza presso la sezione distaccata di Pontedera del Tribunale di Pisa. Ora fa il nonno e si dedica alla lettura dei libri che non ha avuto tempo di leggere in questi anni.

Ai prodi Carabinieri di Pontedera

di Nicolò Stella - lunedì 30 novembre 2020 ore 15:54

Documento autografo di G. Garibaldi diretto “ai prodi carabinieri di Pontedera” conservato al museo storico dell’Arma dei Carabinieri.

Dopo avere visionato la lettera autografa conservata al Museo Storico dell’Arma dei Carabinieri, probabilmente gli storici si saranno chiesti: “Chissà per quale motivo G. Garibaldi inviò due “gnacchere” ai Carabinieri di Pontedera?”

Gli episodi controversi che videro i Carabinieri opporsi a Garibaldi non scalfirono, nell’eroe dei due mondi, la sua ammirazione all’allora corpo scelto dell’esercito sabaudo.

Per ipotizzare i motivi dell’invio delle "gnacchere” occorre riferirsi al 1860 quando Garibaldi convolò a nozze con Giuseppina Raimondi. Il giorno del matrimonio, dopo la celebrazione, uno sconosciuto si avvicinò allo sposo e gli consegnò una lettera contenente documenti che provavano reiterati tradimenti della donna. La sera stessa, Garibaldi “ripudiò” la sposa e si imbarcò per Caprera. Nei mesi successivi si dette, anima e corpo, all’impresa dei Mille.

Garibaldi, come è noto, fino al 1867 si occupò di altro e non si interessò della vicenda processuale, lasciandola nelle mani dei legali. Molto tempo dopo decise di accelerare i tempi avendo in animo di regolarizzare il rapporto coniugale e di riconoscere la prole.

L’annullamento fu sentenziato dalla Corte d’Appello di Roma il 14 gennaio 1880.

Per arrivare a questo risultato, Garibaldi tentò il possibile e accelerò l’esito facendo leva sul proprio prestigio e sulla propria autorevolezza. Nel corso dello svolgimento delle udienze schierò fior fiore di avvocati, proponendo un numero spropositato di testimoni; arrivando a chiedere, lui fanatico repubblicano, anche una supplica per un qualificato intervento da parte di Umberto I.

A tal proposito, nel settembre 1879, così scrisse al Re d’Italia:

“Ed ora l’accordare lo scioglimento di questi matrimoni, per la mutata condizione di cose, e per il nostro diritto pubblico interno, è una delle prerogative della Maestà Vostra (con ciò Garibaldi in buona sostanza chiedeva ad Umberto I sovrano costituzionale di sostituirsi al magistrato,) il matrimonio contratto dal sottoscritto, essendo appunto ratto e non consumato, egli supplica perciò la Maestà Vostra volerne con un suo sovrano decreto accordarne lo scioglimento a datare dal 24 gennaio del 1860. Della Maestà Vostra devotissimo, Caprera 4 settembre 1879 firmato Giuseppe Garibaldi”.

La petizione era stata già concordata con il giovane sovrano durante un ricevimento estivo. A cavallo dei mesi di luglio e agosto 1879 Garibaldi fu ospite dei bagni “Bruzzesi” di Civitavecchia e nello stesso periodo aveva programmato, oltre al citato ricevimento al Quirinale, una visita “interessata e segreta” all’Arcivescovo di Pisa, Primate di Corsica e Sardegna, allo scopo di chiedergli una intercessione con il Vescovo di Tempio Ampurias (Tempio Pausania), Mons. Filippo Campus Chessa, che si era dimostrato refrattario all’emissione della delibera di annullamento religioso del matrimonio mediante “determina” della Sacra Rota e si era pronunciato critico sull’unità d’Italia e sulla presenza di Garibaldi nella sua diocesi: « le mire della rivoluzione non si sono limitate alla sola usurpazione delle province e delle città pontificie, ma sono state dirette e si dirigono tuttora alla distruzione completa del Papato. Ma, grazie a Dio, la fede esistendo di fatto, il solo matrimonio civile, quando non si ha l’intervento della Chiesa, è ritenuto per quello che è veramente, un pretto concubinato.»

Garibaldi, leale massone e anticlericale fino all’osso, non ritenne opportuno di soggiornare a Pisa, in quanto la sua visita e soprattutto le motivazioni che lo spingevano avrebbero sicuramente creato scandalo e sconcerto, perciò ordinò al suo accompagnatore di condurlo nella vicina Pontedera dove era già stato ospite della tenenza dei Carabinieri che allora aveva sede nell’attuale Piazza Martiri della Libertà, nel fondo oggi occupato del bar Giannini e gli uffici al primo piano dove vi è sempre il marmo posto a ricordo del suo passaggio: “fra queste mura il 4 luglio 1867 l’eroe dei due mondi Giuseppe Garibaldi come padre e fratello strinse la mano ai cittadini animando i giovani alle gagliarde virtù che faranno grande Italia.”

Nel corso della breve visita i carabinieri non solo mantennero la massima riservatezza sulla presenza di Garibaldi in città ma lo accompagnarono perfino presso la sede Arcivescovile di Pisa, all’epoca retta dal cattolico maltese, Monsignor Paolo Micallef, spendendosi in prima persona affinché l’Arcivescovo ricevesse il “mangiapreti per eccellenza”.

Terminato il riservatissimo colloquio con l’alto prelato, scortato dagli stessi Carabinieri, ritornò a Civitavecchia.

Libero da gravami, il 26 gennaio 1880 ha potuto sposare Francesca Armosino e riconoscere i due figli: Manlio e Clelia.

L’anno dopo Garibaldi, a ringraziamento dell’ospitalità e disponibilità avuta, inviava:

“ai prodi Carabinieri di Pontedera”:

«Miei carissimi. Vi invio due gnacchere [grandi molluschi bivalve- n.d.a.] povero prodotto di questo mare. Accettate la buona volontà e l'amore che vi consacrerà per la vita. Il vostro Giuseppe Garibaldi».

Avendo iniziato con un quesito, concluderei con la domanda che qualche anno fa si è posta il nostro divulgatore storico M. Mannucci: “chi sa come cucinarono, i prodi carabinieri pontederesi, le due “gnacchere” che l’eroe dei due mondi inviò loro?”

Nicolò Stella

Articoli dal Blog “Storie di ordinaria umanità” di Nicolò Stella