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Attualità venerdì 29 aprile 2016 ore 14:48

Dalla farina al pane, è allarme prezzo

A lanciare l’allarme è Cia Siena che tutela le produzioni agricole e garantire il giusto rapporto valore prodotto e reddito alle aziende agricole



VALDICHIANA — Un quintale di grano tenero, dopo un anno di lavoro da parte dell’agricoltore, viene portato al mulino e venduto per un prezzo di 14 euro. Quel quintale di grano viene così trasformato in farina 00 (zero zero) dal mulino che lo rivende a 67 euro. Fra l’altro il mulino, dopo la molenda, vende anche la crusca, in altri canali di vendita, a 18 euro (per ogni quintale) per un incasso complessivo di 61 euro. Il passaggio successivo è fra il mulino e il panificio: la farina 00 viene venduta a 67 euro e con il pane equivalente pari a 110 kg, il ricavato del panificio è di 210 euro (da cui detrarre i costi di acqua, sale e lievito madre).

Ma questo quadro non soddisfa il presidente della Cia Siena Luca Marcucci che dice: “L’unico che non ci guadagna in questo percorso è soltanto l’agricoltore. Bisogna invertire questo stato di fatto, altrimenti in tempi brevi il grano tenero, ma non solo, in provincia di Siena sarà completamente scomparso. Non è possibile che il guadagno del panificio sia 15 volte di più (pari al 1400%) e quello del mulino sia di 5 volte di più (pari al 378%) rispetto al lavoro dell’agricoltore. E’ necessario ed urgente che gli agricoltori – aggiunge – si riapproprino della filiera, dall’inizio alla fine. Gli agricoltori devono avere il mulino e i forni, aprire e chiudere la filiera, per creare valore aggiunto e garantire al consumatore un prodotto del territorio, di qualità ed ad un prezzo equo».

La forbice diventa più ampia se con lo stesso quintale di grano tenero viene impiegato per fare la pizza. In una panificio 1 kg di pizza (non farcita) costa 12 euro, e del costo totale degli ingredienti il 30% è dato dalla farina (in ogni quintale di pizza vanno 30 kg di farina 00). Per ogni quintale di pizza venduta, il panificio incassa 1.200 euro di cui 360 dati dalla materia prima (farina di grano tenero), ma all’agricoltore vanno comunque i 14 euro iniziali (pari al 3,8%).

«E’ necessario che venga riconosciuto il valore dei nostri prodotti italiani – conclude il direttore Cia Siena Roberto Bartolini -; invece su molti prodotti si usa il nome italiano e toscano anche se il prodotto proviene da ogni parte del mondo, perché basta che sia lavorato in Italia, e questo è inammissibile. Bisogna valorizzare il made in Italy con la qualità delle produzioni, le specificità, le caratteristiche e anche la stagionalità che ogni anno può condizionare il risultato finale. Così da garantire il valore aggiunto alle nostre imprese, qualità e sicurezza alimentare ai consumatori».


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