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Interviste giovedì 28 gennaio 2016 ore 13:05

Mein Kampf, una storia d’amore

Foto di: Valentina Chiancianesi e Tommaso Ghezzi

Gabriele Valentini, come Tabori, in questi giorni, in occasione della giornata della memoria, porta sul palco degli Arrischianti il Mein Kampf



SARTEANO — In una cupa Vienna di inizio 900, arriva un giovane Hitler maleducato, viziato e con grandi progetti, uno su tutti quello di sostenere il famoso esame all’Accademia delle Arti. A dargli ospitalità uno squattrinato libraio ebreo, Schlomo, che vive in una topaia insieme ai senzatetto di Vienna e ad un compagno di sventura, l’ex cuoco Lobkowitz che si crede Dio e biascica pezzi di preghiere. Le uniche cose che possiede Schlomo sono le parole con cui gioca per tenere in vita il suo passato e il sogno di scrivere un grande libro sul significato dell'esistenza, del quale però ha deciso solo l'inizio e il titolo: Mein Kampf.

Le stesse parole Schlomo le usa per corteggiare Gretchen e per convincere la Morte, venuta a prendere Hitler, che non è ancora tempo per il giovane e di tornarsene un’altra volta. Parole che usa per giocare con il suo futuro aguzzino che di lì a poco annienterà il suo popolo. Schlomo pone al giovane Hitler quesiti e indovinelli, dimostrandogli quanto può essere pericolosa la sua dialettica ebraica, che il futuro dittatore teme, e che in fondo i due si possono considerare parenti. Ed è proprio da qui che nasce il simbiotico vivere tra vittima e carnefice, una banale storia d’amore, che sfiora la morbosità e che, come ci racconta la storia moderna, non avrà un lieto fine.

Gabriele Valentini, come George Tabori, porta scena in questi giorni agli  Arrischianti lo spettacolo che lo stesso Tabori definì una “Storia banale, nel senso hollywodiano del termine. Una grande storia d'Amore. Hitler e il suo Ebreo. Un caso orribile"

Gabriele, quanto è distante l’Hitler di Tabori dal tuo?

“Mi sono attenuto abbastanza all’Hitler di Tabori. Ho giocato, invece, soprattutto nella parte registica, buttandola più sulla farsa e sul grottesco ma attenendomi molto al lavoro di ricerca che aveva fatto Tabori”.

Anche Tabori aveva puntato sulla farsa, quella farsa che all'epoca suonava come una provocazione rivolta al pubblico austriaco, in quanto i protagonisti non erano una coppia di amanti capricciosi, ma bensì un politico austriaco naturalizzato tedesco, dittatore della Germania dal 1943 al 1945, ideatore del nazionalsocialismo e un ebreo.

Quali sono state le difficoltà che hai riscontrato portando in scena un testo così contorto?

“Le difficoltà sono legate al fatto che ci sono due cose da rispettare: la vicenda e quindi la svolgimento della storia e il rispetto del testo. Mi spiego meglio, quello di Tabori è un testo dove ci sono molte citazioni storiche, dal vecchio testamento al vangelo e quindi in fase di realizzazione, ho cercato di rispettare sia il testo in se sia la tragedia che il testo rappresenta rispettando anche tutti gli stati d’animo dei personaggi”.

Come hai lavorato sugli interpreti?

“Con gli interpreti abbiamo lavorato molto sul punto di vista storico, d’immagine, di ricerca e di imitazione dei personaggi, soprattutto con l’interprete di Hitler, Guido Dispenza. Con lui ho lavorato sulla follia di Hitler, e di chi lo seguiva, sulla sua ambiziosità ma anche sul fatto di non essere riuscito in quello che voleva. Con Guido abbiamo anche fatto una ricerca sia storica ma anche di natura umana e soprattutto sulla cattiveria della natura umana”.

Qual è il messaggio che vuoi lanciare con lo spettacolo?

“Sostanzialmente mi associo al messaggio che tanti anni fa ha voluto lanciare lo stesso Tabori, ovvero la presa in giro di Hitler e di tutte le estremizzazioni. In un periodo dove ci sono molto estremizzazioni, ho voluto rimarcare quello che è il mio pensiero portando in scena questo spettacolo e sottolineando la distanza da certi atteggiamenti mentali e non solo mentali”.

Atteggiamenti che invece si possono ritrovare nell’Hitler di Tabori, in cui tutti possono riconoscersi per non diventare come lui. Nel testo non ci sono buoni o cattivi, i personaggi sono semplicemente presentati e si fanno conoscere per quello che dicono. Solo alla fine, la storia ha un capovolgimento, della farsa passa alla tragedia, quando Hitler, insieme ai suoi scagnozzi e al fido Himmlisch, cerca il libro che Schlomo sta scrivendo e alla fine scopre che non contiene niente perché il contenuto è nella testa del suo autore.

Gli interpreti del Mein Kampf di Gabriele Valentini sono Guido Dispenza nei panni del giovane Hitler, Schlomo Herzl Francesco Storelli, Silvia De Bellis, Tommaso Ghezzi, Pina Ruiu e Giacomo Testa. In scena agli Arrischianti il 30 e il 31 gennaio 2016.


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