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Attualità domenica 29 novembre 2020 ore 07:00

​“Diciassette giorni surrreali nella bolla Covid"

Il racconto di Monica, giovane donna che sfida il virus con un “diario di bordo” per aiutare le persone contagiate



CASTIGLION FIORENTINO — Diciassette giorni sotto attacco. Il terrore di non farcela, il silenzio dell’isolamento in una stanza d’ospedale, come in una bolla. Come sottovuoto.
Monica Conticini, giovane ranger castiglionese con la passione per l’Africa e un’attitudine speciale alla resilienza, è tornata a casa dal San Donato e da qui riparte. Piano, perché lo stramaledetto virus vuole dettare anche i tempi della rinascita, ma nel combattimento a vincere è Monica.
Ha deciso di raccontare cosa è il Covid in un diario di bordo che con un filo d’ironia – non guasta mai – ha chiamato “Positive Club”.
Il suo profilo Facebook è schizzato in alto tra condivisioni e commenti, ma l’operazione di Monica va oltre: “Aiutare le persone a non sentirsi sole più di quanto questa malattia non ti faccia sentire. Alle problematiche fisiche si aggiunge una fortissima componente psicologica, legata anche all’isolamento, la solitudine che sei costretto a vivere affrontando qualcosa di sconosciuto e invisibile dentro il tuo corpo”.
I giorni in ospedale servono a spiegare ancora meglio che il virus, c’è, colpisce duro, non è il caso di sottovalutarlo e le regole vanno rispettate alla lettera.
“Anche io ho dovuto visitare il reparto bolla Covid. Arrivare in ambulanza, senza nessuno, con gli operatori che cercano di essere più gentili possibile, ma che sanno esattamente che sei in lotta da solo. Entrare in quel posto deserto, sterile fino alla nausea, dove nessuno si avvicina. Il telefono non prende, non posso scrivere neanche un messaggio che mi terrebbe in contatto con la superficie. Sì perché mi sento come sott’acqua, forse “bolla Covid” non è poi così casuale”.
Monica resiste: “Sento pochi rumori, ogni tanto li sento correre fuori, nel corridoio, sento che si chiamano, che arriva una nuova emergenza. Non respira, dicono. Io respiro. Non so quante ore passano, mi sono appisolata, ho provato a recuperare la rotta, so che posso navigare ancora in solitaria”.
Poi la svolta e i medici che le dicono che il suo sangue ossigena correttamente e se lei se la sente, può tornare a casa e continuare da lì la battaglia: “Sei giovane mi hanno detto, il tuo corpo sta reagendo bene, nonostante io sia senza terapia per la mia patologia e questo porti qualche problema collaterale. Me la sento. La solitudine di quel luogo, dove ti salvano la vita, ma dove ti senti così solo, così perso, non voglio riviverla. Sono di nuovo nella mia barca malandata, fisicamente a terra, ho l’energia per fare due passi, per lavarmi, per scrivere ogni tanto”.
C’è di più: “Ho dentro anche una nuova energia, sprigionata da questo mio corpo che è un tempio, e che sta lottando insieme alla mente, al mio cuore, ad ogni particella di me, come una grande squadra, per tornare in porto. Vedo terra”.
Non è finita, ma Monica è in rinascita.

Lucia Bigozzi
© Riproduzione riservata


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