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lunedì 07 ottobre 2024

STORIE DELL'ALTRO SECOLO — il Blog di Marcella Bitozzi

Marcella Bitozzi

MARCELLA BITOZZI - Ex funzionario del Comune, con studi rivolti ai numeri, ho una sviscerata passione di scrivere fatti del mio paese e storie di gente che ci ha vissuto. E così, prima che anche l’ultima testimonianza possa andare perduta, mi sono decisa di parlare con le donne, con gli anziani, con coloro che erano bambini o adolescenti nel periodo bellico e fascista. Questo Blog lo dedico a mio padre, che ha vissuto il periodo della guerra, che è stato al fronte non in prima linea perché il suo mestiere di falegname gli aveva permesso di essere utilizzato per altre necessità.

Mario classe 1922 soldato semplice 5° reggimento

di Marcella Bitozzi - giovedì 14 febbraio 2019 ore 07:00

La sua storia di soldato e di prigioniero, Mario Volpi, me l’ha raccontata in vita. Non ho battuto ciglio mentre lui mi parlava, e non solo perché piena di sofferenze, ma perché di fronte a me avevo un signore piccolino e magro, con tanta dignità, che mi raccontava fatti atroci ed assurdi quasi come se mi dovesse raccontare una storia qualunque. La sua naturalezza mi impedì di interromperlo anche per una sola domanda, e alla fine è in poche righe che Mario ha raccontato anni di terribile sofferenza.

Memoria storica del suo paese, Usigliano, Mario Volpi era stato uno dei fondatori dei “battitori di grano”, aveva collaborato allo spostamento della Chiesetta di San Rocco prendendo in mano e ricollocando le pietre pesanti, ma soprattutto Mario non si dimenticava mai di posizionare la bandiera dei combattenti e reduci nel punto d’onore durante le ricorrenze. L’amava tanto la sua bandiera, che si era fatto cucire a sue spese, che custodiva nella sua abitazione, e che lui stesso trasportava ovunque, e quando non poteva più farlo per l’avanzare dell’età, la consegnava ai suoi paesani con le raccomandazioni del caso.

Amava tanto la sua Patria, ed era orgoglioso di aver sofferto e di aver rinunciato in suo nome alla spensieratezza della gioventù.

Mario partì per il fronte a soli 20 anni, da Livorno per Palermo e poi per Biserta, dove sbarcò il 19 novembre 1942.

L’Italia era alleata dei tedeschi, e durante il tragitto furono bombardati due volte dagli Anglo/Americani. Erano due le navi che percorrevano insieme quel tragitto, e la nave dove non era Mario e che trasportava tutti i materiali, fu colpita; i soldati morirono tutti e i materiali andarono perduti. Mario e gli altri rimasero senza niente, con l’ordine di percorrere a piedi il lungo tragitto per Costantina, una camminata di almeno una settimana.

“Arrivati a Costantina sentivamo gli inglesi che si avvicinavano con un tigre – mi raccontò Mario – e noi fummo costretti a cercare un rifugio”.

Ma il rifugio che trovarono era troppo piccolo per ospitarli tutti e toccò proprio a Mario rimanere con una gamba di fuori.

Manganellate al ginocchio e l’ordine di uscire tutti da lì, fu quello che gli inglesi intimarono immediatamente ai soldati italiani.

“Uscimmo tutti da lì – mi disse Mario – e i tedeschi che erano con noi furono picchiati tutti a sangue e lasciati li, per terra, a morire”.

Mario e gli altri soldati italiani furono presi prigionieri, era il 13 maggio 1943, una data impressa in modo indelebile nella memoria di Mario.

Ancora una lunga camminata dei soldati, verso un campo inglese di prigionia, a Casablanca, senza mangiare e senza bere e se “qualcuno cadeva – raccontò Mario – veniva picchiato”.

Arrivati a destinazione, ancora due giorni di digiuno con un solo biscotto e senza bere, e la richiesta di lavorare al carico e allo scarico di materiali da guerra in cambio di viveri.

Mario accettò, “per mangiare” mi confessò.

Dopo qualche giorno l’interprete disse a Mario ed agli altri che ci poteva essere la possibilità di scappare.

Qualcuno ebbe paura e rimase al campo, e 57 soldati tra cui Mario, a mezzanotte precisa presero la strada del deserto.

Chi rifiutò fu fatto camminare con un sacco di pietre in spalla fino allo sfinimento.

“Noi arrivammo a Casablanca talmente sfiniti – mi raccontò Mario – che solo al nostro risveglio ci accorgemmo di esserci addormentati accanto ad un cadavere putrefatto. Eravamo in una base americana e lì – continuò a raccontare Mario - trovammo da bere e da mangiare a volontà. Ricordo il banchetto, con tante cose buone, un’immagine indimenticabile”

La fuga era stata organizzata perché gli Inglesi non avevano abbastanza viveri per tutti i prigionieri.

“Al campo di Casablanca ci fu fatta subito una domanda – disse Mario – vuoi essere prigioniero o prigioniero lavoratore? La fame era tanta e io decisi di essere prigioniero lavoratore”.

“Una sera, mentre stavo per addormentarmi – dice Mario – mi sembrava di sognare, ma era tutto vero, sentivo una vocina che parlava in italiano, anzi in livornese”.

Era proprio un livornese, caporale in cucina.

Mario lo pregò di prenderlo con sè, pur non sapendo cucinare niente.

Il Livornese, di cui Mario non ricordava il nome, fece davvero in modo di prenderlo in cucina e per il resto della prigionia – raccontava Mario – “non mi sentii mai un prigioniero vero”.

Mario poteva mangiare, anche tre volte al giorno, poteva bere e qualche volta poteva anche uscire.

“Bè io sono stato bene! – diceva Mario. Passarono gli anni ed un giorno fu consegnato ai prigionieri un foglio scritto in inglese. Che c’era scritto, nessuno di loro lo sapeva, ma era il 1946 e quello era il foglio di via, il campo era stato liberato”.

Due giorni e due notti di nave fino a Livorno e poi la libertà.

“Ero vivo ed ero libero – concluse Mario – ed in tasca avevo un assegno di una bella sommetta: ben 325.000 lire, potevo comprarmi persino una casa”.

Mario, alla fine del suo racconto non si dimenticò di ricordare i suoi sfortunati amici dispersi, o coloro che riposano nella Chiesa di San Rocco.

In quel racconto Mario trasmetteva le sue stesse emozioni, ti faceva rabbrividire e ti regalava momenti di gioia, quando ti raccontava del suo ritorno a casa, dopo la guerra, e del suo primo abbraccio alla sua Rosina.

Però non si piangeva addosso, raccontava con grande compostezza, e si mostrava sempre orgogliosissimo di aver rischiato la vita per servire la patria.

Mario Volpi classe 1922, soldato semplice del 5’ Reggimento artiglieria nel secondo conflitto mondiale, è morto nella sua casa alla fine del 2014.

Caro Mario, te ne sei andato con la stessa grande dignità con cui ha vissuto e mi hai raccontato la tua storia di soldato e di prigioniero. Chi ti ha conosciuto, io compresa, non ti dimenticherà.

Marcella Bitozzi

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