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giovedì 28 marzo 2024

VERSI-AMO — il Blog di Chi mette al centro la persona

Chi mette al centro la persona

Il blog è curato da un comitato tecnico-scientifico costituito da Carmen Talarico, scrittrice, poetessa e docente, Federica Giusti, psicologa e psicoterapeuta sistemico-relazionale, Ilaria Fiori, avvocata, Maria Cristina Cavallaro, psicologa e psicoterapeuta, PHD Neuroscienza Mediatrice ADR, Sara Tosi, naturopata, Renata Otfinowska, illustratrice e grafica, Lina Talarico, docente. Le professioniste condividono la cura della parola per un rinnovato sguardo aperto allo stupore. Mettere al centro la persona coltivando i semi della Pedagogia, della Psicologia, del Diritto, della Naturopatia e dell’Arte, versando parole di amore e gentilezza.

Potenzialità e limiti dell'indagine psicologica nella parola poetica

di Chi mette al centro la persona - lunedì 14 febbraio 2022 ore 07:30

In un recente articolo di Luigi Sampietro, Louise Glück, la poetessa americana contemporanea, Premio Nobel per la letteratura 2020, viene descritta come «cresciuta in una famiglia in cui «ciascun componente pensava sempre di poter completare la frase detta da un altro» con un’ispirazione iscritta «nell’intoppo della parola e negli equivoci». In particolare si fa riferimento ad un episodio chiave della sua vita, sul piano sia personale che professionale: «Aveva forse otto o nove anni e alla guida dell’automobile che la portava a scuola c’era la mamma di una sua compagna, la quale a un certo punto le chiese di recitare ad alta voce la poesiola che aveva composto come compito a casa. «La cosa di cui io ero tutta orgogliosa», ricorda la Glück, «era l’inversione metrica (anche se allora non sapevo che così si chiamasse) nell’ultimo verso. Avevo scelto una parola che non faceva rima e che al mio orecchio era davvero elettrizzante. Una sorta di esplosione finale». «Bella poesia, proprio bella», fu il commento della signora al volante, «manca però la rima, alla fine». Inferocita per il disappunto, la piccola Louise non avrebbe mai dimenticato quell’episodio».

Un'esperienza traumatica, si direbbe oggi. Ma non finisce qui, in quanto, quasi attraversando, nel breve volgere di poche righe, un vero e proprio ponte ad una sola campata, il buon recensore approda all'estremo opposto quando scrive «La poesia della Glück nasce insomma da una «intensità di percezione» che la porta a leggere la realtà in una chiave tutta sua. Personale e arcana allo stesso tempo. Quasi cabalistica. Come se il dato dell’esperienza derivasse da un dettato soprannaturale che si manifesta qui ed ora, nel mondo creato, ma il cui significato proviene dall’eterno».

Sorge quindi spontanea una domanda: la sorgente psicologica della poesia dell’autrice e della parola che la struttura coincidono con la dimensione, radicale e originaria, della sua infanzia o assumono la forma propria dell’esperienza successiva? Entrambe le cose, sembra volerci dire Sampietro.

E questa strutturale ambivalenza di lettura della poesia nel suo intrigante profilo psicologico, propria dell’atto creativo poetico, tra risonanze e condizionamenti della prima infanzia, da una parte, ed esperienza nell’età adulta, dall’altra, ha radici molto profonde nella psicanalisi contemporanea, tanto da aver caratterizzato la distinzione intercorsa tra Freud e Jung, i due principali riferimenti storici e scientifici della psicanalisi del novecento.

Nel corso di una conferenza tenuta nel maggio del 1922 a Zurigo e pubblicata per la prima volta nel settembre dello stesso anno in “Wissen und Leben” (vol. 15) col titolo Über die Beziehungen der analytischen Psychologie zum dichterischen Kunstwerk [Sul rapporto tra psicologia analitica e opera d'arte poetica] proprio Jung ebbe a dire che «l’esercizio dell’arte è un’attività psicologica, o un’attività umana dovuta a motivi psicologici, e come tale è e deve essere sottoposta all’analisi psicologica».

Jung ha consumato la sua separazione da Freud proprio sul piano di una confutazione netta e decisa della psicologia freudiana dell’arte, della quale ha evidenziato la riduzionistica prospettiva che associava la creazione artistica alla nevrosi dell’autore, insite nella biografia personale e familiare, a discapito della natura intrinseca della creazione stessa.

In quella conferenza Jung ricordò come «soltanto quella componente dell’arte che comprende i processi della creazione artistica può essere oggetto della psicologia, ma non quella che costituisce l’essenza medesima dell’arte. Questa seconda componente, che s’interroga sulla natura dell’arte in sé, non può mai divenire oggetto di indagine psicologica, ma soltanto di un esame estetico-artistico».

Maria Cristina Cavallaro

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