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Attualità martedì 17 marzo 2015 ore 12:00
Piano del paesaggio, pensieri di un archeologo
Riceviamo dal professor Franco Cambi, docente di archeologia del paesaggio dell'Università di Siena, questo contributo sul nuovo Piano regionale
FIRENZE — La discussione sul Piano è stata rinviata alla settimana prossima e Rossi e Marson in queste ore stanno dibattendo a Roma con il ministro Franceschini. Come archeologo trovo tutto questo allarmante; come persona che ha lavorato tre anni al Piano trovo tutto questo deludente; come cittadino toscano sono irritato, perché era un bel Piano davvero.
E’ tempo di dire che il Piano Paesaggistico della Regione Toscana, si spera in via di approvazione, è il frutto di un lavoro condotto in équipe, da quattro anni a questa parte, da diverse decine di persone, fra le quali vanno ricordati, oltre a docenti, ricercatori e assegnisti di ricerca delle cinque Università toscane (Pisa, Firenze, Siena, Scuola Normale, Scuola sant’Anna) anche i valenti funzionari e tecnici sia della Regione medesima sia delle Soprintendenze. In questo Piano hanno cooperato le competenze più diverse: urbanisti, archeologi, storici, geografi, storici dell’arte, geologi, ecologi, giuristi. Si è detto che lo strumento scaturito da questi quattro anni di lavoro sia troppo complesso e lungo. E’ facile rispondere che la Toscana è un comprensorio di per sé complesso e che soltanto assumendo un approccio globale impostato sulla analisi delle molte differenze e complessità si può, alla fine, arrivare ad un testo che sia più sintetico e più accessibile. All'altra critica, sempre rivolta agli estensori del Piano, di una scarsa comunicazione e pubblicità, si può rispondere che, in realtà, questa c’è stata: on line, sulla stampa e con conferenze appropriate tenute nei diversi ambiti regionali nei quali il Piano è articolato. Tutto è perfettibile ma non si deve dimenticare che la Regione Toscana è fra le poche che possano vantare una legge apposita per la partecipazione dei cittadini alla elaborazione delle politiche regionali e locali.
Ma il punto non è questo. Il punto è che questo Piano Paesaggistico, nella sua versione originaria, è rivolto ai cittadini toscani, veri proprietari e gestori di quel bene comune che è il paesaggio toscano con tutte le sue differenze e con tutte le sue variegate stratificazioni. I cittadini toscani in quanto sovrani hanno innescato, votando cinque anni fa il programma elettorale di Enrico Rossi e il progetto di Anna Marson, il processo che ha portato a questo Piano Paesaggistico. Essi sono i promotori attivi e al tempo stesso i destinatari del Piano. E i cittadini non sono né una categoria economica né una lobby. Queste, per definizione in una democrazia, si ricomprendono nella cittadinanza globale. E questa non può ridursi all’angusto spazio del “qui” e al precario momento dell’”ora”. Deve, in maniera progettuale e con ampia prospettiva tenere in conto i cittadini di domani accanto a quelli di oggi. Un Piano Paesaggistico contribuisce a creare nuove progettualità e nuova occupazione.
Ad una globalità dell’approccio, intesa come Piano Paesaggistico si deve, dunque, inevitabilmente, pervenire: globalità degli elementi che compongono una geografia, globalità della cittadinanza.
I Piani paesaggistici pugliese e toscano, ha detto giustamente Giuliano Volpe, “sono ben lontani da una visione «mummificatrice» del territorio…chi li contrasta, difendendo non solo privilegi particolari ma anche sistemi produttivi ormai superati, è un conservatore. Chi li promuove e li difende è un innovatore”.
Sarebbe triste che la Toscana, lungi dal seguire l’esempio della Puglia, si dotasse di un Piano Paesaggistico dimezzato o peggio, dando così una specie di cattivo esempio. Poiché il Piano non riguarda soltanto la realtà locale, ma riveste un grande interesse nazionale, ecco, proprio per questo, dobbiamo chiedere che venga approvato nella sua veste più efficace: quella sostenuta da Anna Marson.
Franco Cambi
Professore di Archeologia dei Paesaggi - Università degli Studi di Siena
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