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Attualità mercoledì 13 aprile 2016 ore 12:41

“Il Mattatoio” di Marco Sallese in mostra

Marco Sallese

In attesa dell'edizione 2016 di Foiano Fotografia, sabato 16 aprile, presso la Sala Gervasi si svolgerà la personale di Marco Sallese



FOIANO DELLA CHIANA — “Il Mattatoio”, questo è il titolo della mostra del foianese Marco Sallese, l’inaugurazione è prevista per le 17 del 16 aprile sarà visitabile anche il giorno successivo. L’evento è a cura dell’Associazione Quinto Cantiere e rientra nel ricco programma della XXXII edizione de La Fiera del Fiore.

Marco Sallese è nato nel 1988. Si è laureato in Architettura all’università di Firenze e contestualmente agli studi universitari si è avvicinato alla Fotografia, grazie agli insegnamenti dei fotografi Paolo Brandinelli e Juri Pozzi. In seguito ha approfondito la formazione trasferendosi a Madrid, dove ha frequentato con profitto corsi specializzanti nella scuola di Fotografia EFTI, entrando in contatto con professionisti di livello internazionale. Sallese continua nella sua ricerca stilistica, approfondendo i temi più disparati, dalla moda al reportage passando per la Fotografia di Architettura e quella di scena, conservando un punto di vista personale e critico.

Il progetto de “Il Mattatoio” parte dalla necessità di conoscere da vicino i metodi produttivi della carne che abitualmente viene consumata: nello specifico il momento ed il modo in cui gli animali vengono uccisi e preparati per la distribuzione.

«Non è semplice entrare in un mattatoio, sia fisicamente che emotivamente – spiega Sallese - Il primo impatto è totalizzante: i sensi vengono presi d’assalto e ci si rende conto da subito che si sta entrando in un luogo di morte. Si è improvvisamente immersi in una realtà a cui non siamo abituati a pensare ma che vive e lavora quotidianamente in parallelo alla nostra, nascosta da mura di cemento lontano dai centri abitati».

«Ho pensato molto al linguaggio da utilizzare per questo progetto - scrive, in relazione alla mostra - ho deciso di farlo attraverso una fotografia priva di colore e di volti umani scegliendo inquadrature ed esposizioni evocative, stando attento a non cadere nella banalità di immagini shoccanti e preferendo un atteggiamento discorsivo ed estetico che stimolasse la visione critica da parte dell’osservatore. Ho sporcato quanto più potevo le fotografie con esposizioni lunghe ad alta sensibilità per rendere in stampa la sensazione di malessere e rumore che ho provato in quell’ambiente».


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